SOLO LA PIAZZA CI PUO’ SALVARE

«C’è solo la piazza che ci può salvare, la piazza è l’unica salvezza (.)Perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi cinascondiamo, bisogna tornare nella strada, nella piazza, per sapere, perconoscere chi siamo». Cito a memoria una canzone di Giorgio Gaber. Sono passatitanti anni, trenta, forse di più, eppure me le ricordo bene queste parole, cheora, qui, acquistano un altro significato, perché la ricerca è quella dicercare di conoscere  e poi cercare di definire il senso dei "luoghi comuni". Mipiace citare Giorgio Gaber anche perché la sua ricerca, importante, aveva alsuo interno una ribellione, che non era quella violenta e psicotica degliepigoni del ’77, era come.come dire una ribellione, con un volto femminile, cheviveva accampata, come una zingara, vicino alle nostre case, rifiutando quellecalde dimore dove si consumano tragedie senza grida. Già una ribellione con ilvolto di donna Giorgio l’aveva intuita. Nella canzone Chiedo scusa se parlo diMaria raccontava del suo malessere di militante che parlava di Vietnam, diCambogia, della dura realtà sociale di paesi sfruttati dal capitalismo, ma,poi, diceva: «però non so più parlare di Maria». Era come se avessecominciato a comprendere che, senza un’immagine femminile, la ribellione non hala possibilità di trasformare la storia umana.  Ora ricordo un’altra piazza, piazza Tiennamen, a Pechino. Sono passativent’anni. Forse pochi sanno cosa successe nelle ultime ora di occupazione dellapiazza da parte dei dissidenti. Erano ormai settimane che gli studentioccupavano la piazza e non era successo nulla di grave, forse perché leautorità erano convinte che si sarebbero stancati presto e ritornati neiranghi. Ma nell’ultimo giorno di rivolta gli studenti degli istituti d’arte,utilizzando materiali poveri come la cartapesta, eressero una statua: quandoebbero finito una figura femminile alta sei metri guardava dall’alto la piazza ei palazzi al di là dei muri della Città Proibita; quando ebbero finito lapolizia caricò la folla demolendo quella che era l’immagine della rivolta senzaodio, la ribellione dal volto di donna che non si sarebbe fermata. E ci fusangue, e ci fu morte. Troppo triste. ho un’altra immagine, la piazza antistante la cattedrale diColonia, una notte d’estate, un’enorme uomo africano percuoteva senza tregua ungrande tamburo. Le note si infrangevano sull’imponente facciata gotica dellacattedrale, rimbalzavano nel cielo notturno e poi, lentamente scivolavano giù,sul sagrato, spezzando la sacralità ormai senza senso di quel luogo. Attraversoil suono del tamburo, l’Africa irrompeva in tutta la sua carica erotica tenendoa distanza i cittadini che guardavano da lontano, come stregati, perturbati,quell’uomo venuto da lontano che stava cambiando il senso di quel luogo che, peri presenti all’evento, non avrebbe avuto più la stessa sostanza di prima: ilsagrato, il luogo dove nel medioevo venivano rappresentati gli autossacramentales ora tornava ad essere una cavea di teatro, questa volta profana,dove un essere umano, uno straniero, raccontava la sua storia: «Io sono questoe questo, il suono che risuona nella piazza, è la mia essenza» E le guglieantiche si inchinavano al suo tempo interno scandito da quelle mani forti chedavano voce al tamburo; le mura del dio monoteista erano invase ed assorbivanoil suo suono,  il suo silenzio, il suo essere musica. Intanto, la dea Mimesis,protetta dall’oscurità, ricuciva l’immagine invisibile della piazza.  Quante immagini sono contenute nelle piazze, nei teatri, nei luoghi dove ci siincontra, dove si lotta, dove ci si ribella. Penso a come cambierà l’immaginedella piazza giovedì quando porteremo le sedie in piazza. Saranno sediecolorate, diverse, estranee tra loro nella forma e nel taglio come i vestitidelle donne nelle feste in piazza. Certo questa volta udiremo meglio le nostreparole anche se, forse non è poi così necessario.il ventisei giugno c’erarumore nella sala della riunione e le parole arrivavano agli altri spezzettate,d’altronde i luoghi comuni a volte hanno questi piccoli inconvenienti. A volte,queste difficoltà fanno reagire la mente e poi ci si accorge che ciò che èrimasto sono solo le sensazioni che trasfigurano la realtà oggettiva vissuta:rimangono flash di percezioni soggettivizzate da nostro sguardo che da sensoalla realtà come la storia da senso ai luoghi.

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