È già passato un mese dall’ultima riunione. Non so perché ma, quell’incontro, forse, è stato il più, il più…non mi viene un aggettivo, diciamo il più. Forse perché c’erano i ragazzi dei collettivi studenteschi che, con i loro slogan, ”quando meno te lo aspetti spunteremo dai muretti” hanno dato una nota di passione e forse anche di senso a questo lavoro che stiamo cercando di far decollare da pochi mesi. Forse i ragazzi ci hanno fatto sentire più ‘visti’ e meno soli, in questa ribellione contro l’abitudine del “tanto poi ‘Loro’ fanno quello che vogliono”. Comunque sia è stato un bel modo di salutarci, prima del break estivo, per poi affrontare senza pensieri e sensi di colpa un mese… con altre ricerche e altri pensieri. La separazione, dicono, può ricreare gli accadimenti e può accadere, in una sera d’estate, guardando il mare da più vicino, di ripensare a quell’incontro, in quella piazza… ma si, a quelle immagini rimaste sospese alle ciglia e, può accadere, di vedervi entrare, titubante, guardandosi intorno circospetta, una giovane donna, e, può essere, e perché no, che si chiami… Antigone. La ragazza, Antigone, ora, non è più figlia di quell’Edipo del mito tragico utilizzato da un certo Freud e dai suoi epigoni per codificare l’identificazione col padre violento come unica via d’uscita dalla psicosi manifesta, no, adesso è una liceale appena uscita dalla maturità che ha i genitori fissati per la tragedia greca: ecco il perché dello strano nome. No, non è più quell’Antigone là, l’eroina famosa, ma, forse grazie all’etimologia del suo nome, “colei che genera in opposizione” questa giovane donna, vestita da un nome che ha in sé i germi della ribellione, è scesa nella piazza per cercare il suo oppositore, per cimentare nuovamente questo suo nome-epiteto, il suo personaggio, in una nuova dialettica con il solito Creonte, il tiranno, con chi, questa volta vorrebbe negare alla piazza la sua specificità di luogo comune. Quella che si erse nella piazza di Tebe, ad urlare il suo no a leggi disumane scritte da un tiranno accecato dal potere, ora aspetta, attende ancora una volta nella piazza assolata il suo antagonista. Questa volta, però, così sembra, Creonte non c’è, o meglio: è presente in tutta la sua assenza. Eppure molti hanno cercato una dialettica con l’Assente, scrivendo su Quattro Passi, sul blog di Luoghi comuni, andandolo a cercare nei ‘luoghi non comuni’ del potere. Però Lui non c’è, Lui non è, si nasconde dietro maschere vuote, abbandonate sulle poltrone di velluto degli uffici anch’essi vuoti, maschere vuote che si fanno tragicamente chiamare: Ferrovie dello Stato, Comune, Provincia, Presidenza del Municipio ecc., ecc.. Antigone è lì nella piazza, attenderà ancora un poco leggendo un libro che porta sempre con sé, poi, chissà, potremmo immaginare che andrà a cena con il suo ragazzo, Emone, (tutti con strani nomi stasera). Lei gli parlerà della piazza, dell’assenza, della sua passione per i luoghi comuni; parlerà di loro, gli dirà di scusarla se lo ha fatto aspettare, gli dirà, certa, che il rapporto tra una donna e un uomo non deve mai servire per annullare la passione politica. Gli dirà, contraddicendosi un po’, che lui è tutta la sua vita, ma che domani tornerà ancora nella piazza e se Creonte le chiederà se ama quel ragazzo lei aprirà il libro e leggerà l’Antigone di Anouillh: “Si lo amo. Amo un ragazzo puro intransigente e fedele. Ma se, quella che voi chiamate vita, quella che voi chiamate felicità, dovesse passare su di lui e spegnerlo… se non dovesse più impallidire quando io impallidisco, se non dovesse credermi morta quando ritardo cinque minuti, se non dovesse più sentirsi abbandonato e detestarmi quando rido senza di lui, se dovesse imparare anche lui a dire sempre si… allora non amo più quel ragazzo. …Si, lo so voi non riuscite più a capirmi. Vi parlo da troppo lontano ormai, vi parlo da un luogo dove non vi è più permesso entrare con le vostre rughe, con la vostra ragione, la vostra pancia. Potete solo restarvene fuori seduto sulla porta come un mendicante, a sgranocchiare quella pagnotta dura che voi dite essere vita”.
Gian Carlo Zanon