Lunedì 17 marzo in Via Lorenzo Valla, angolo via Vincenzo Monti, nel giardino della Fondazione Gualandi, sono stati abbattuti 11 cipressi ed unpino. Un Cedro del Libano è miracolosamente stato risparmiato, per ora. Gli alberi abbattuti godevano tutti d’ottima salute, erano alti 20 metri circa e avevano a dir poco cinquant’anni. Tutti i residenti e coloro che si trovavano a passare, sono rimasti sbigottiti da tanta violenza gratuita. Una lettera di protesta firmata da 150 cittadini viene consegnata al Presidente Bellini. Essa contiene anche la richiesta di tutela del Cedro.
Lunedì 21 aprile, alle 8 del mattino, sta per accadere l’irreparabile: una squadra di operai ha iniziato ad organizzarsi per abbattere il maestoso Cedro che troneggia su Via Lorenzo Valla, ultimo rimasto degli splendidi alberi d’alto fusto sacrificati per permettere la costruzione dei 36 box di discutibile utilità, ma alquanto redditizi. Lo sdegno e il sentimento di appartenenza ha fatto sì che un folto gruppo di cittadini e cittadine riesca, parlando con gli operai, i Vigili Urbani, il Presidente Bellini e presidiando per tutta la mattinata il luogo, a fermare il taglio dell’albero che stava avvenendo senza la necessaria autorizzazione.
16 maggio 08 – Viene effettuata sull’albero una perizia statica da parte del Dottore Forestale Gian Pietro Cantiani, in presenza del Dirigente del Servizio Giardini Sig, A. Burini, dell’Ass. Alberta Maranzano, dell’Ing. Venditti , dell’Avv. Pierfrancesco della Porta e di numerosi altri professionisti e cittadini che hanno voluto dare il loro contributo.
La perizia tecnica, pagata con una colletta dai residenti di Via Valla e vie limitrofe, giunge alla conclusione, senza lasciare ombra di dubbio, che l’albero “risulta in buone condizioni biologiche, fitosanitarie e fotostatiche e non rappresenta un pericolo per la pubblica incolumità…
Il 19 agosto 08 – Viene recapitato alla Venditti S.p.A., ai VV.UU., al Presidente del XVI Municipio e ad alcuni rappresentanti dei cittadini tramite raccomandata AR il parere SFAVOREVOLE all’abbattimento del Cedro espresso dal Servizio Giardini Dipartimento X del Comune di Roma. Tale parere vincola la Venditti S.p.A. al dovere di custodia dell’albero secondo l’articolo 2051 del C.C.
Il 27 agosto 08 – alle 08.00 del mattino iniziano i preparativi per il taglio del Cedro. Nonostante una sollevazione popolare, la presenza dei Vigili Urbani e di due rappresentanti del Servizio Giardini, nonostante i fax urgenti per fermare quanto stava accadendo, il Cedro del Libano viene vigliaccamente soppresso. La Venditti S.p.A ha dalla sua parte un fonogramma dei Vigili del Fuoco che, dopo sopralluogo del 27 luglio 2008, in considerazione di agenti atmosferici che potrebbero causare la caduta di rami, “consigliano l’abbattimento previa valutazione da parte di un tecnico qualificato”. Il tecnico qualificato, ossia Dott. Forestale chiamato dalla ditta Venditti S.p.A., dopo aver constatato la buona salute dell’albero e aver sottolineato l’importanza degli alberi nella nostra città, “consiglia” anche lui l’abbattimento per gli stessi motivi di cui sopra. Il Presidente Bellini, informato telefonicamente dai cittadini non interviene direttamente; il suo cellulare entra in un cono d’ombra telefonico. Quest’ultima giornata sembra una sceneggiata o una favola come quella di Pinocchio, ma di «meglio che t’amparavo zappatore» e del Gatto e la Volpe si può anche ridere. Qui non c’è da ridere. Vorremmo vedere ora questi personaggi politici che, grazie al voto degli abitanti di Monteverde, ricoprono ruoli istituzionali, come potranno ancora dire di rappresentare le istanze, le passioni, i sentimenti, di quei cittadini che hanno così maldestramente deluso. Cosa diranno agli abitanti di Via Valla che ormai sanno che quando il Presidente Bellini, o chi per lui, parla di conservazione, non intende “del territorio” ma di un potere che serve solo a conservare “lo stato delle cose”. Come scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo. «Che tutto cambi purché nulla cambi». Questa è la cronaca di ciò che è accaduto. Il testo soprastante e un piccolissimo riassunto di lettere, testimonianze e documenti raccolti dai cittadini di Via Valla. Di ciò che è accaduto nonostante tanta gente di buona volontà si sia data da fare per difendere quello che non era solo un albero, fatto di legno e foglie, ma un’immagine comune che aveva raccolto attorno a sé donne e uomini che hanno ancora, nonostante Loro, un sentimento di speranza verso l’umano. Viene alla mente un ritornello di Chico Barque de Hollanda «nonostante voi domani nascerà un altro giorno». Nonostante Loro… già ma …intanto è difficile sfuggire alla depressione indotta da coloro hanno perduto anche il senso della parola nascita. Da coloro che, usciti da tempo dalla dimensione irrazionale, non si possono più permettere di rientrarvi con “le loro rughe, con la loro ragione, con la loro pancia”. Già sembra proprio che abbiano perso quella dimensione umana, quel fare le cose per niente, apparentemente senza senso, che hanno ancora molte, moltissime persone comuni, che si muovono naturalmente in “quel certo modo incosciente”solo perché fa star bene, perché quel dire no dona loro una sensazione di pienezza che allontana l’angoscia del nulla: si ribellano perché sentono che è giusto così, e basta. Loro gli Altri conoscono solo i rapporti fondati sull’utilitarismo e il mondo che si rappresentano nella mente è una terra desolata, ed è quella desolazione che poi agiscono come fosse normale e sacrosanta perché è funzionale alla società che… Loro hanno in mente.Loro, che sono stati, al momento della votazione, amati, magari solo un poco, ma amati, come si ama l’altro da sé che per un tempo indeterminato va a rappresentare qualcosa di sé che sembrava perduto per sempre. Loro, che come si dice ci rappresentano, ci hanno, ancora una volta, deluso. E fatto incazzare…o forse non si dice incazzare perché le parolacce non sono da persone civili munite di ragionevolezza, quella ragionevolezza delle persone per bene. Già perché Loro sono “persone” per bene. Loro hanno nomi e cognomi che sbandierano al momento…giusto; sono Persone… dalla parola etrusca persu, maschera. Cosa ci sia dietro quella maschera non è dato sapere. Viene in mente il Romanzo di Wilde, Il ritratto di Dorian Gray; Loro dovrebbero leggerlo, capirebbero. Capirebbero? Non capirebbero, come non hanno compreso la ribellione palesata dai cittadini di Via Lorenzo Valla. Viene in mente L’uomo in rivolta di Albert Camus: “ad uno schiavo tu puoi fare quello che vuoi, lo puoi maltrattare, umiliare, battere. Poi improvvisamente vai a toccare un punto intangibile della sua realtà psichica e…. quello si ribella, anche se la ribellione può costargli la morte”. Rivolta, schiavo, realtà psichica, intangibile… ma Loro conoscono il senso profondo di queste parole…bà, francamente. È chiaro che ciò che scriviamo è ancora una speranza di dialettica con chi, almeno in passato, forse, ha creduto nella possibilità di trasformare la società in modo più umano: se non fosse così non sarebbe possibile neppure un tentativo di rapporto. Però Loro debbono ritrovare quella dimensione umana che fa credere nei sogni ad occhi aperti, che faccia Loro immaginare una speranza e una possibilità di trasformazione dello “stato delle cose”. Senza la speranza che esistano al mondo donne e uomini che ”sentono” ciò che “sentiamo” noi, senza la speranza che esistano dei luoghi comuni della mente dove ci si può incontrare, senza la speranza… non c’è dimensione umana. C’è solo una vita inutilmente vissuta, annullando sogni ed esigenze, tagliando alberi secolari; una vita di bisogni senza senso fatta d’automobili sempre più grandi da parcheggiare, di cancelli che le proteggano, di parcheggi e garages che le custodiscano come cose preziose. Loro, gli Uomini Grigi, sostituendo una ricchezza interiore, serbata gelosamente, con un’esteriore ricchezza esibita, da salvaguardare nei loro salvadanai di cemento armato, forse si sentono tranquilli e sicuri non accorgendosi, però, di vivere in un teatro del mondo, rappresentando marionette tirate dai fili di qualcuno più grigio di loro.Ancora poche cose per cercare di capire i motivi che spingono alcuni esseri umani, solo alcuni, a comportarsi in questo modo…cieco e violento. Il problema è antico.Prima che la cultura occidentale facesse il patto con il dio unico del monoteismo, proiettando il sentimento dell’infinito negli spazi siderali dell’astrazione, esisteva un altro patto, non vergato su pietra o altro, tra donne e uomini arcaici e le divinità che popolavano la natura. Ogni oggetto, in movimento, esterno all’essere umano, aveva un contenuto, un’anima nella sua accezione primaria: a-nemos, non immobile. Persino la pietra, che rotolava dalla collina, aveva un’anima-contenuto-qualità che diveniva poi, nel linguaggio verbale, aggettivo, epiteto che nel suono onomatopeutico e nel valore semantico, manteneva uno stretto rapporto con l’immagine dell’oggetto e del suo movimento nello spazio. Il mare non era solo “il mare” punto, ma era “mare infinito che racconta di sé cantando nella risacca”. Il movimento delle piante, degli animali e soprattutto quello umano, era il manifestarsi della potenza di una divinità ctonia, interna, invisibile. La divinità mostrava la propria esistenza latente solo nel movimento: lo stormire delle foglie, la corsa del cavallo, la carezza di un uomo, era l’epifania del divino. La rappresentazione verbale della realtà era un dire poetico perché l’unico modo per acquisire e porgere conoscenza era quello di nominarla mitopoieticamente. La percezione della realtà non veniva scissa dalla sensazione, veniva soggettivizzata dallo sguardo reso profondo della fusione tra corpo e mente. Poiesis significa fare, la realtà veniva “fatta” in modo intuitivo-poetico. In questo modo il reale in movimento non era una sostanza piatta e reificata, resa cosa, ma si trasformava nella mente e poi veniva vissuta nella sua profondità e poi le veniva dato un contenuto e quindi un senso. Poi i filosofi commisero l’errore di cancellare dalla natura il divino, che era il contenuto e il senso dell’oggetto percepito, commisero l’orrore di disanimare la realtà, di escludere ciò che nel movimento è invisibile, inspiegabile ma vero anche se indefinito, rendendo così il reale un mero resoconto della percezione sensitiva. Da allora la sapienza si scisse, perse la primaria fusione, e prese due strade laterali e parallele alla realtà profonda: una è la cultura del sacro che ha come matrice l’alienazione religiosa – sistema religioso che “spiega” la realtà, passata presente, futura, che è congrua ed ha un senso solo nella credenza tout court, in quanto disegno imperscrutabile quindi dogmatico; l’altra strada, materialista e solo apparentemente atea, va dai Presocratici a …il Presidente Bellini che non ha saputo vedere il contenuto del movimento popolare e quindi non ha compreso che senso avesse la ribellione degli abitanti di Monteverde in difesa del Cedro del Libano.
ORGANIZZAZIONE INIZIATIVA DI DOMENICA 5 OTTOBRE
ORGANIZZAZIONE INIZIATIVA DI SABATO 11 OTTOBRE
ORDINE DEL GIORNO:
– ORGANIZZAZIONE INIZIATIVA RETI DI PACE – 5 OTTOBRE
materiale alberi, alberi di Macchia Grande, albero con racconto "L’uomo e il noce", intitoliamo la piazza al cedro?, gruppo musicale, progetto area
– ORGANIZZAZIONE INIZIATIVA BLACK OUT – 11 OTTOBRE
È già passato un mese dall’ultima riunione. Non so perché ma, quell’incontro, forse, è stato il più, il più…non mi viene un aggettivo, diciamo il più. Forse perché c’erano i ragazzi dei collettivi studenteschi che, con i loro slogan, ”quando meno te lo aspetti spunteremo dai muretti” hanno dato una nota di passione e forse anche di senso a questo lavoro che stiamo cercando di far decollare da pochi mesi. Forse i ragazzi ci hanno fatto sentire più ‘visti’ e meno soli, in questa ribellione contro l’abitudine del “tanto poi ‘Loro’ fanno quello che vogliono”. Comunque sia è stato un bel modo di salutarci, prima del break estivo, per poi affrontare senza pensieri e sensi di colpa un mese… con altre ricerche e altri pensieri. La separazione, dicono, può ricreare gli accadimenti e può accadere, in una sera d’estate, guardando il mare da più vicino, di ripensare a quell’incontro, in quella piazza… ma si, a quelle immagini rimaste sospese alle ciglia e, può accadere, di vedervi entrare, titubante, guardandosi intorno circospetta, una giovane donna, e, può essere, e perché no, che si chiami… Antigone. La ragazza, Antigone, ora, non è più figlia di quell’Edipo del mito tragico utilizzato da un certo Freud e dai suoi epigoni per codificare l’identificazione col padre violento come unica via d’uscita dalla psicosi manifesta, no, adesso è una liceale appena uscita dalla maturità che ha i genitori fissati per la tragedia greca: ecco il perché dello strano nome. No, non è più quell’Antigone là, l’eroina famosa, ma, forse grazie all’etimologia del suo nome, “colei che genera in opposizione” questa giovane donna, vestita da un nome che ha in sé i germi della ribellione, è scesa nella piazza per cercare il suo oppositore, per cimentare nuovamente questo suo nome-epiteto, il suo personaggio, in una nuova dialettica con il solito Creonte, il tiranno, con chi, questa volta vorrebbe negare alla piazza la sua specificità di luogo comune. Quella che si erse nella piazza di Tebe, ad urlare il suo no a leggi disumane scritte da un tiranno accecato dal potere, ora aspetta, attende ancora una volta nella piazza assolata il suo antagonista. Questa volta, però, così sembra, Creonte non c’è, o meglio: è presente in tutta la sua assenza. Eppure molti hanno cercato una dialettica con l’Assente, scrivendo su Quattro Passi, sul blog di Luoghi comuni, andandolo a cercare nei ‘luoghi non comuni’ del potere. Però Lui non c’è, Lui non è, si nasconde dietro maschere vuote, abbandonate sulle poltrone di velluto degli uffici anch’essi vuoti, maschere vuote che si fanno tragicamente chiamare: Ferrovie dello Stato, Comune, Provincia, Presidenza del Municipio ecc., ecc.. Antigone è lì nella piazza, attenderà ancora un poco leggendo un libro che porta sempre con sé, poi, chissà, potremmo immaginare che andrà a cena con il suo ragazzo, Emone, (tutti con strani nomi stasera). Lei gli parlerà della piazza, dell’assenza, della sua passione per i luoghi comuni; parlerà di loro, gli dirà di scusarla se lo ha fatto aspettare, gli dirà, certa, che il rapporto tra una donna e un uomo non deve mai servire per annullare la passione politica. Gli dirà, contraddicendosi un po’, che lui è tutta la sua vita, ma che domani tornerà ancora nella piazza e se Creonte le chiederà se ama quel ragazzo lei aprirà il libro e leggerà l’Antigone di Anouillh: “Si lo amo. Amo un ragazzo puro intransigente e fedele. Ma se, quella che voi chiamate vita, quella che voi chiamate felicità, dovesse passare su di lui e spegnerlo… se non dovesse più impallidire quando io impallidisco, se non dovesse credermi morta quando ritardo cinque minuti, se non dovesse più sentirsi abbandonato e detestarmi quando rido senza di lui, se dovesse imparare anche lui a dire sempre si… allora non amo più quel ragazzo. …Si, lo so voi non riuscite più a capirmi. Vi parlo da troppo lontano ormai, vi parlo da un luogo dove non vi è più permesso entrare con le vostre rughe, con la vostra ragione, la vostra pancia. Potete solo restarvene fuori seduto sulla porta come un mendicante, a sgranocchiare quella pagnotta dura che voi dite essere vita”.
Gian Carlo Zanon
Le risposte a questa domanda possono essere molte. Eccone alcune.
1) È uno spazio all’interno del CSOA Macchia Rossa, pieno di biciclette più o meno smontate, attrezzi, bulloni, camere d’aria e gente sudata che armeggia.
2) Un posto dove si condividono conoscenze e attrezzi.
Per chi vuole imparare a centrare le ruote, per chi vuole imparare a smontare e rimontare il movimento centrale, per chi il movimento centrale manco sa che è, anzi gli sta pure antipatico perché gli ricorda la DC.
3) Un incentivo all’utilizzo della bici.
Per chi vorrebbe venire alla Massa Critica ma non ha la bici, per chi vorrebbe andare al lavoro in bici ma ha paura di bucare e non saper cambiare la camera d’aria, per chi ha una bici arrugginita in balcone e vorrebbe ricominciare ad usarla ecc. ecc.
4) Un posto dove chi ha un progetto in testa trova lo spazio e gli strumenti necessari a realizzarlo.
Per chi vuole pulire la catena ma a casa hanno appena dato la cera, per chi vuole costruire un batiscafo a pedali, per chi vuole vincere il giro d’Italia con una bici comprata al discount e pezzi trovati per terra, per chi ha contratto debiti per il resto della vita per comprarsi la bici dei suoi sogni e vuole mantenerla perfetta.
5) Un luogo dove raccogliere e diffondere materiali contro-informativi riguardo l’uso sovversivo della bicicletta, ma anche riguardo la critica alla società del petrolio, dell’automobile, del consumismo e della guerra.