oltrelesiepi

Oltrelesiepi

periodico
monteverdino
numerozerogiugnoduemiladieci

Quando
si inizia a dar forma letteraria a qualcosa di nuovo, di cui si ha solo
un’immagine indefinita nella mente, si cercano le parole che serviranno a far
si che il nostro pensiero verbale trasformato in segni grafici, condivisi dagli
esseri umani della nostra cultura, divenga intellegibile e abbia un senso
compiuto per coloro che lo leggeranno, e che, a loro volta, formeranno nella
mente un’immagine, più o meno definita, del significato e del senso che
l’autore ha voluto trasmettere. Scrivere significa rendere visibile, anche a se
stessi, il pensiero che, emerso nella mente, diviene, patrimonio comune.

E
veniamo al titolo di questo giornale che certamente riverbera i suoni
dell’Infinito leopardiano.
«Sempre
caro mi fu quest’ermo colle,/e questa siepe, che da tanta parte/dell’ultimo
orizzonte lo sguardo esclude …».
Ecco nel titolo, Oltrelesiepi, vi è l’idea, di
andare oltre la siepe la quale, se è vero che lo sguardo esclude dall’orizzonte
è pur vero che, in questo modo, permette di immaginare una realtà, «io nel
pensier mi fingo»,
che non si percepisce con il senso della vista, una
realtà che non è, o perlomeno non è ancora divenuta realtà. Quindi nel titolo
del giornale è presente l’idea di andare oltre le siepi, a Monteverde ce ne
sono di bellissime, sia fisicamente, nel senso di ritrovarsi insieme ad altri
individui con i quali partecipare alla vita civile del quartiere, sia andare
oltre le siepi-muro del pensiero per immaginare prima e dar vita poi a qualcosa
che arricchisca la società in cui viviamo anche in termini di bellezza urbana.
Vedere una piazza sporca, immaginarla pulita e poi organizzarsi per pulirla,
significa ribellarsi civilmente ad uno status quo, ed un è segno
dell’essere umano. Vedere una piazza
sporca e conviverci, magari solo evitando di calpestare l’immondizia,
appartiene al regno animale che non ha la capacità di immaginare una realtà
diversa da quella incontrata e che quindi non può che adattarvisi supinamente.

L’essere umano per sua natura, nasce immaginando il
rapporto umano e rifiutando il disumano; nasce come essere sociale e solidale.
Se, attraversando la vita riuscirà a mantenere memoria di questa legge
primaria, avuta in dote dalla nascita, potrà immaginare un mondo migliore e «il suon di lei», e,
poi, trasformare ciò che intorno a sé non si avvicina ai suoi sogni,
evitando di naufragare nel nulla di una vita senza il suono dell’umano.

Gian
Carlo Zanon 20 maggio 2010

oltrelesiepipaginauno

numerozerogiugnoduemiladieci

Progetto oltrelesiepi

Buongiorno, chi siamo? siamo quelli che … oltrelesiepi. Un gruppo di abitanti
di Monteverde che ha pensato di creare un periodico, che per ora uscirà
esclusivamente on-line, e che in seguito, se i riscontri saranno positivi, sarà
anche cartaceo.

Perché?

Perché vorremmo
accendere il dibattito culturale, politico e sociale, proponendo una piazza
telematica dove incontrarsi per discutere, scambiare opinioni, pensare insieme
spazi e tempi di convivenza democratica, e soprattutto umana, nel nostro
quartiere ma non solo.

Perché abbiamo pensato
di proporre una visione molteplice della realtà e non solo quella appiattita
dai media, dalla politica di chi ci governa e non.

Perché pensiamo, con questa pubblicazione di
poter offrire una serie di servizi a per informare i cittadini di ciò che
succede nel quartiere: cosa danno al
teatro Vascello, dove trovare cibi genuini ecosostenibili. In poche parole servizi a tutti e per
tutti: Cercate casa ? Lavoro ? Usate le nostre inserzioni.

Per chi ?

Per tutti i cittadini
che si ritengono tali, nel senso più ampio e democratico che questo possa
significare.

Per tutti coloro che non
credono che i morti ammazzati, dalle ‘bombe intelligenti’(sic) siano “effetti
collaterali”, confondendo gli assassinii di donne e bambini con la sonnolenza,
effetto collaterale di un farmaco.

Per tutti coloro che
sanno fare la differenza fra credenza e pensiero, fra peccato e crimine.

Per tutti coloro che
dando alle parole il proprio senso, separano ciò che è sano da ciò che, nella
società umana, è disumano.

Per tutti coloro che
vorrebbero scegliere, sempre, quelle parole giuste parole, che posandosi sulle
cose, fanno scoccare la scintilla del senso che individua, e definisce
verbalmente, il contenuto invisibile della realtà.

Cosa vorremmo essere ?

Un osservatorio della
realtà
urbana e sociale;

un Fort Apache posto
alla frontiera del possibile;

uno sguardo critico sulla realtà umana intorno a
noi;

realtà in divenire, un laboratorio di esperienze
territoriali;

un suono che attenui almeno in parte i clamori
delle battaglie ideologiche;

una piazza virtuale dove “un pensiero del mondo
incontra un pensiero del mondo”;

una trattoria dove le varie cucine del pianeta
possano offrire cibo per la mente sempre diverso;

una bacheca dove, chi cerca qualcosa che non ha,
possa affiggere le proprie esigenze, i propri sogni.

In poche
parole vorremmo ‘essere’

Cosa non vogliamo essere
?

Una fortezza Bastiani
posta a baluardo del Deserto dei Tartari vale a dire di chi, per lingua madre,
per luogo di nascita, per cultura, per opinioni politiche o religiose, ad uno
sguardo miope, appare diversamente umano.

Una istituzione politica
che crede di poter gestire le idee, le istanze, le rabbie e le disillusioni dei
cittadini.

Una voce sgangherata,
autoreferenziale e onanista che astraendosi
dalla realtà perde il contatto con i problemi sociali oggettivi.

Non possiamo e non
vogliamo essere soli in questo impegno. Questa è una pubblicazione aperta a
tutti coloro che vorranno dare un loro contributo, sia personale che
associativo. Vorremmo dialogare con chiunque condivida queste nostre esigenze
di partecipazione al bene comune. Parlateci! I vostri contributi saranno benvenuti.

Ci
auguriamo parteciperete numerosi a darci una mano per far crescere questa
pubblicazione. E’ un’esperienza che vogliamo condividere con voi, è uno
strumento agile e dialogante con tante potenzialità da non perdere e che
mettiamo a vostra disposizione. Approfittatene, immaginate qualcosa che ancora
non c’è.

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Luci sul passato

Una fiaccolata per fare memoria, dopo 161
anni. La memoria storica precisa di chi combatté – e morì –
durante tre giorni di scontri sanguinosi, contro i francesi che
difendevano il potere temporale del Papa, in favore della laicità dello Stato e
la sovranità del popolo. Memoria di una esperienza ricchissima di effetti
benefici per lo sviluppo della democrazia : la Repubblica Romana e la battaglia
per la sua difesa nel giugno del 1849,
sul colle del Gianicolo.

Giovedì 10 giugno, alle ore 19,30, da
sotto l’arco dei Quattro venti, dopo l’entrata principale di Villa
Doria-Pamphili, partirà una fiaccolata che, percorrendo tutta la zona che vide
gli aspri combattimenti tra garibaldini e francesi, porterà fino al Sacrario
dei Caduti per Roma.

Sono previste quattro soste: in ognuna di
esse verranno letti i nomi di dieci caduti di quella battaglia e saranno letti
brani di pensatori risorgimentali, le strategie di Garibaldi e le idee di
Mazzini.

Al Sacrario sarà letto e suonato l’inno
di Mameli, così come l’inno del Battaglione degli studenti universitari, che fu
cantato durante la battaglia di Curtatone e Montanara.

In particolare quest’ultimo inno, scritto
dagli studenti Mattìa Massa e Gaudenzio Caire, morti in battaglia, da 160 anni
non veniva suonato al Gianicolo. Era
rimasta la memoria parziale del testo e si era perduto lo spartito.

Chi si è occupato di fare ricerche negli
archivi fiorentini, dove si sapeva fosse conservato, è stata la Associazione
Filarmonica “Caduti per la Patria” di
Mugnano ( Perugia ), nelle persone del Vice presidente della stessa
Filarmonica, sig. Bigi e del Direttore della Banda Nazionale Garibaldina, sig.
Nicola Lucarelli.

Aderiscono alla manifestazione
l’Associazione Nazionale Garibaldina, col Presidente della sezione di Roma e
Segretario Nazionale avv. Enrico Strati; l’Associazione Nazionale Partigiani
d’Italia-Regione Lazio, sig. Gianni Réfolo; il Comitato di Quartiere di
Monteverde, con la signora Licia Perelli; la Banda Nazionale Garibaldina di
Mugnano (PG), diretta dal Maestro Nicola
Lucarelli; l’Associazione Filarmonica “
Caduti per la Patria” di Mugnano (PG), col Vice Presidente sig. Bigi;
l’Associazione Culturale Gruppo Laico di Ricerca, col Presidente sig. Guglielmo
Salucci e il Vice Presidente sig. Paolo
Macoratti.

Patrocinano il Municipio I e il Municipio
XVI.

Si ricorderanno tra i caduti, anche i più
sconosciuti tamburini, l’audace popolano, l’armaiolo di 12 anni, un Manuelito
della legione straniera.

Si ricorderà la” nobildonna” che altri non era che la“garibaldina” Colomba Antonietti, unica
donna combattente, amata dal popolo che la ricoprì di rose bianche, quando fu
esposta, dopo la sua morte, nella chiesa di S. Carlo ai Catinari, la parrocchia
dei Barnabiti che aiutavano i seguaci di Garibaldi.

E si ricorderanno tanti, i cui nomi si
leggono ogni giorno sulle targhe delle strade di Monteverde: Goffredo Mameli da
Genova e Enrico Dandolo da Varese, ambedue di 22 anni; Emilio Morosini da
Milano e Ulisse Seni da Roma, di 18 e 19 anni; Luciano Manara da Milano di 24
anni e Ugo Bassi di 48 anni, barnabita e cappellano maggiore della Legione
Garibaldi.

E a rappresentare i tanti sconosciuti
caduti nell’impresa, i cui resti sono custoditi senza nome
nell’Ossario-sacrario, verrà ricordato anche un Tamburino Ignoto di soli 9
anni, arruolato nel Primo Reggimento di Fanteria! E’ la prima volta che una
fiaccolata sarà utilizzata per una memoria garibaldina.

Il
Gianicolo è già pieno di ricordi di quel periodo storico: i busti marmorei
degli eroi della difesa di Roma, il monumento a Garibaldi, il cenotaffio di
Anita Garibaldi, vari cippi e lapidi, un interessante itinerario garibaldino e
risorgimentale con pannelli illustrativi, completato nel 2004.

Ma la fiaccolata rappresenta
simbolicamente, e in modo evidente, la luce che bisogna fare sul nostro
passato, per ricavarne gli insegnamenti utili per un presente significativo.

Donatella
Tani

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Festa d’estate

Sabato 19 giugno

10 dalle ore 16.30

Alla Stazione quattro Venti

Giochiamo
con l’orto

Costruiamo
gli aquiloni

Assemblea
Pubblica

Musica
e merenda in piazza

Letture
con i più piccoli

Organizzano
e partecipano: ACAFI, Barattopolis, Comitato Roma 16a per l’acqua,

Coordinamento
Luoghi Comuni, Granello di Senape, Gruppo Scout Roma 17, Monteverde
Antirazzista,

Nati per
leggere, Reti di Pace, Unodiversità di Bravetta.

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Il nuovo libro della
svizzera-extracomunitaria-monteverdina: Susanne Portmann

Nel fondo dell’occhio, è il secondo romanzo della Portmann; un lavoro apparentemente più
‘umile’ del primo, Lasciando il bosco,
ma in realtà molto più complesso … è come se l’autrice, per una sorte di
‘timidezza’, si limitasse a descrivere le cose di tutti i giorni per non
svelare il nocciolo del problema; e
tutto questo con una estrema leggerezza alla Holden, citato in entrambi i
romanzi, condita di suspense che
tiene sospesi ad attendere il finale di questa storia, ingarbugliata come i
migliori polizieschi di Dashiell
Hammett. Questa, dell’autrice, è un’opera enigmatica la quale, quando si è
riposto il libro, rimane infilata tra le pieghe del pensiero come un rompicapo
per la cui risoluzione sono necessari intelligenza e immaginazione. La
moltitudine di storie e personaggi, tra realtà e fantasia, che attraversano il
romanzo, si intersecano tra loro creando una trama di immagini che, come nei
sogni, necessita di un grande interprete per darle, alla fine, un senso
compiuto. Si, perché oltre a narrare le imprese di Nora Furatto, che, anche
qui, apparentemente è una donna comune, una specie di Normalman al femminile – lo ascoltate mai su Radio Due SEI UNO ZERO
– per di più senza la tutina da Super Eroe … dicevamo, oltre a narrare le
imprese della protagonista, l’autrice incastona nel romanzo altri racconti,
come il bellissimo, L’ombra, che ha
il sapore di quelle favole ascoltate al limite del giorno, quando i sogni
irrompono negli occhi non appena si varca la porta del sonno … dicevamo
l’autrice inserisce altri racconti di autori che sono e non sono l’autrice …
insomma un bel problema recensire questo romanzo. Inutile dire che ognuno ‘legge’ le opere letterarie con il proprio sguardo,
per quanto mi riguarda, leggendo il romanzo, mi è accaduto di pensare
continuamente al caso: la tyké,
questa divinità che scende nel mondo degli esseri umani a ‘causare’ gli
incontri con l’altro da sé. Già il caso che fa incontrare la protagonista, per
ben due volte, con un fascinoso sconosciuto, in due posti diversi, sparsi per
l’Italia. E poi ho pensato all’occasione di conoscerlo, che Nora perde per ben
due volte, forse tre, ma non la quarta. Immaginiamo un uomo, o una donna, su
una zattera, in mezzo all’Oceano … e su questa zattera sbattuta dalle onde una
radio gracchiante, dalla quale, ogni tanto, escono dei suoni che rammentano
l’umano; ecco, ora immaginiamo che questa zattera sia tutto ciò che rimane dal
naufragio della propria vita: un piccolo pezzo di vitalità che ancora resiste
agli affronti della ragione che ripete che la vita e così com’è e niente di
più; immaginiamo che la radio sia la
voce degli altri del mondo, con le loro bugie, le loro poesie, i loro romanzi,
le loro parole e i loro occhi che ci parlano della ‘vita’, a volte mentendo, a
volte cantando un ritornello frusto, sempre uguale, a volte, anche, cantando di
una vita che sappiamo esistente forse non solo in un nascosto portone nel cuore
di una città antica. Susanne Portmann racconta che, attraversando un mondo in
burrasca, celato sotto il tappeto di un’assordante normalità, può accadere che
il caso ci porti a percepire una voce, un volto, che promettono qualcosa o ti
danno, come scrive l’autrice “una fiducia
che non è permesso tradire”
. Il caso che fa incontrare lo sconosciuto o che
fa trovare nelle pagine di un libro una frase che, se proprio non ti salverà la
vita, ti svelerà l’esistenza del possibile, è un’occasione di vita da non perdere.
La vita ce la giochiamo attraversando le esistenze altrui, e in questo
‘lussureggiante viaggio’, direbbe Zorba, il caso ci porta all’occasione da non
perdere, ad un volto dove cercare il proprio destino, vale a dire la
realizzazione della propria nascita: «Il
destino, caro Bruto, non è nelle stelle, ma
(è) in noi stessi».

I ‘protagonisti’ non nominati di questo romanzo sono il caso e
l’occasione; la crisi e la scelta; l’attraversamento di un guado tra il
conosciuto con le sue certezze e l’incertezza dello sconosciuto. Tutto questo
lo troviamo nei frizzanti ‘colloqui’ tra Nora e il proprio daimon, tra il suo pensiero raziocinante e il proprio pensiero
interno irrazionale che non le da tregua e l’incalza a fare ciò che la ragione
le impone di non fare. In questo romanzo la fascinazione dell’altro da sé è il
grande contenuto di una travolgente e colta cornice con decine di piani di
lettura che portano il lettore ad inoltrarsi nelle vite di personaggi che si
trasformano al passaggio di questa bellissima immagine femminile:
dall’impiegata frustrata che in pochi giorni diviene un’ottima capo redattrice,
al suo compagno che ad un sol piccolo cenno di separazione si allontana
dolcemente rimanendo però sempre presente. Il movimento interno di Nora la
porta ad una propria realizzazione umana dando anche agli altri la possibilità
di una propria realizzazione.

Nel fondo dell’occhio, al confine tra natura e umano,
dove finisce la vista obiettiva e il pensiero cosciente ed inizia un
altro sguardo e un pensiero che appartiene ai sogni e all’arte, è nato questo
nuovo romanzo di Susanne. Grazie.

Gian Carlo Zanon

Nel fondo dell’occhio
– Editore La Riflessione.
ordini@lariflessione.com

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