Tempi duri, già tempi duri. Penso che un modo per uscire dalle sabbie mobili della tristezza sia afferrare al volo la lettera di Lara e l’articolo dell’ing. Carla Ortolani, apparsi negli ultimi due numeri di QP, e farci una piccola ricerca ed aprire un dibattito sulla bellezza. Guardando le immagini che scorrono sullo schermo televisivo pare proprio che la bellezza non serva a nulla: mai visto nulla di così brutto e squallido.
Ricordo, tanto tempo fa, andai a trovare un burbero artista che viveva solo in una casa che si affacciava sul lago Maggiore: «Vedi» disse « in questo paese ci sono molte morti per suicidio. Tutti si meravigliano. Io no. Vedi il lago è delimitato dalle montagne, è come se non si potesse andar al di là. Ė questo il motivo dei suicidi». Io, allora, pensai che fosse matto, forse un pò lo era, ma forse, in parte, aveva ragione. Non so perché questa memoria è riaffiorata alla mente leggendo di quel muro che interrompe il percorso ciclabile: che bruttura. Parlare, fare una ricerca sulla bellezza, in questo caso su uno spazio vitale per bambini, donne e uomini, ci toglie dall’angoscia dei “sogni della ragione” dove la realtà, soprattutto umana, viene reificata, fatta diventare cosa da usare e sfruttare per l’utile materiale di chi ha perduto il senso profondo della bellezza o pensa che non serva a niente. Ricordo, un anno fa, la festa che ci fu in quella piazza, io sono stato bene, sono sicuro che molta gente è stata bene, i bambini di sicuro. Forse si stava bene perché si apriva uno spazio fantasma chiuso, come la stanza di Barbablù, per molti, troppi anni. Perché la bellezza della piazza sta nella gente che la vive come luogo di rapporto umano. Penso che la piazza appartenga a chi gli dà vita. Ricordo, un anno fa, c’erano anche i politici: chiediamo loro se sanno cos’è la bellezza e se, secondo loro, serve all’umano.
Gian Carlo Zanon
(pubblicato sul numero di maggio 2008 di Qp)